Il paesaggio è quella parte di territorio che si abbraccia con lo sguardo da un punto determinato, in questo caso da un punto di vista semplice, molto diretto e frontale, niente di sfavillante o con angolazioni alla ricerca dello stupore visivo immediato. Una commistione visiva tra Ghirri e i coniugi Becher.
Il termine “canonico” che meglio può descrivere il lavoro fotografico di Dimitri Angelini può essere: paesaggistico, ma anche antropologico, sociologico o reportagistico, in quanto sicuramente il tutto viene inglobato in una forma che non riguarda panorami caratteristici per le loro bellezze naturali, o a località di interesse storico e artistico nel senso più classico del termini. Nelle vedute urbane di Dimitri Angelini ci si può stupire della normalità che si ha di fronte, è un balcone sulla vita; non vi è una ricerca del famoso e classico “attimo” Bressoniano, ma c’è più una costante ricerca sul passare quell’attimo. Riusciamo a stupirci della normalità, ci fa scoprire, senza molti barocchismi, un punto privilegiato che ci permette di entrare nella scena, di scoprire, individuare le dinamiche del posto ed immaginare storie passate e vissuti attuali ma anche, più in generale, ad un pensiero sul futuro, ad un pensiero sulla fatidica domanda: chissà come sarà quel posto tra 20 anni, chissà quali saranno i cambiamenti dinamici del nostro spazio, di cui siamo artefici e “prigionieri”. Le foto urbane di Dimitri Angelini hanno sempre quel “punctum” di ricerca tra i rapporti che l’essere umano ha con gli spazi che crea. Questa serie di lavori in grandi dimensioni è un ulteriore studio sulla percezione visiva, sulla dinamica dell’occhio a riuscire d’entrare in una scena; cerca, come un antico trompe l’oeil o come un affresco rinascimentale, di comunicare prospettive tridimensionali in spazi bidimensionali, cerca di fare da “untore stendhaliano” sulla percezione dello spettatore.
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